CHRISTIAN CHIRONI e ELENA MAZZI | Chi Utopia mangia le mele

12.10.2018 > 02.12.2018 | Ex Dogana di terra, Verona

Art&TheCity / Chi Utopia mangia le mele
da un’idea di Adriana Polveroni
a cura di Adriana Polveroni e Gabriele Tosi

Una mostra pensata per gli spazi dell’ex Dogana di terra, in consegna alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, che collabora al progetto con il Comune di Verona.

Gli artisti: Nanni Balestrini, Maurizio Cattelan, Cristian Chironi, Danilo Correale, Vittorio Corsini, Cuoghi Corsello, Gino De Dominicis, Ceal Floyer, Claire Fontaine, Cyprien Gaillard, Andrea Galvani, Carlos Garaicoa, Christian Jankowski, Thomas Kuijpers, Ugo La Pietra, Maria Lai, Lisa Dalfino e Sacha Kanah, Robin Hewlett e Ben Kinsley, Glenn Ligon, Davide Mancini Zanchi, Masbedo, Elena Mazzi, Adrián Melis Sosa, Luciano Ori, Adrian Paci, Gina Pane, Pino Pascali, Beatrice Pediconi, Diego Perrone, Gianni Pettena, Paola Pivi, Andrea Santarlasci, Tomás Saraceno, Marinella Senatore, Stefano Serretta, Caterina Erica Shanta, Mauro Staccioli, Kyle Thompson, Piotr Uklansky, Ben Vautier, Vedovamazzei.

Chi utopia mangia le mele parte dal tema dell’edizione 2018 di ArtVerona, l’Utopia, per indagare la sua natura controversa, ricorrente e mutevole, ma sempre orientata al superamento di un presente convenzionale e teso alla conservazione dello stato delle cose.

La riflessione sull’utopia appartiene strutturalmente al mondo dell’arte, attraversando tutte le sue discipline. A partire da qui, la mostra propone un percorso che affianca figure storicizzate a giovani autori, impiegando opere di oltre 40 artisti in un dialogo transgenerazionale. L’intento è comunicare la vivacità del ripensare i modi con cui abitiamo il presente e la spinta dell’arte necessaria per intervenire sulla narrazione identitaria di individui e comunità, proiettandola verso futuri possibili. La mostra, inoltre, non manca di considerare l’importanza di una provocazione celata in una fuga solitaria o di un gesto ribelle.

Se, come mi capita spesso di fare, penso per immagini, non vedo l’isola perfetta ma inesistente di Tommaso Moro, afferma Adriana Polveroni. Vedo piuttosto una sorta di “guerriglia intellettuale”, il movimento di un pensiero che, radicandosi nel presente, si sposta di continuo, segnando il limite del presente stesso. Per superarlo. Una spinta, quindi, che entra in gioco quando e dove il pensiero sembra fermarsi al mero dato, quando non riesce più a prefigurare ulteriori connessioni, nuovi orizzonti da scoprire e percorrere. Mi piace pensare l’Utopia come contigua all’idea di progetto, non velleitaria, ma che richiede consapevolezza, attenzione alla realtà, che tuttavia non rinuncia a modificare, volendo modellare nuove forme di vita di cui, in maniera più o meno risolta o confusa, se ne sente da più parti bisogno. Una specie di sogno paziente, dotato però di una capacità critica che lo avvicina a qualcosa che definirei una “strategia del senso”.
E mi spingo ancora oltre, aderendo a quell’idea che un imprenditore illuminato come Adriano Olivetti ha cercato di attualizzare: Utopia come costruzione di “comunità”, territorio e occasione per sperimentare buone pratiche e prospettive condivise.
Decisivo, anche in questa declinazione più progettuale, è che non ci si accontenti di come il reale è o appare, volendo esplorare la sfera del possibile perché è qui che si germinano i semi, non solo del futuro, ma di un presente non convenzionale. E in questa terra di mezzo che è l’Utopia, dove si prefigura quel che ancora non c’è e che, in quanto tale, trattiene in sé la forza aurorale del non ancora accaduto, che possono spostarsi in avanti il pensiero e l’ordine del fattuale.

Le opere presentate – in una selezione che dagli anni Sessanta arriva ai giorni nostri, includendo fotografia,
installazione, pittura, suono e scultura – testimoniano anche come la forza di tale idea sia stata recepita da autorevoli collezioni private italiane, i cui importanti prestiti permettono oggi di ricostruire un quadro più chiaro del recente immaginario italiano in dialogo con il domani.

La mostra, che si sviluppa dall’imponente cortile settecentesco e dai suoi loggiati per poi risolversi in una delle due ali del palazzo, si avvale anche di nuove produzioni e rifacimenti di opere storiche.

È il caso di uno dei più noti e simbolici lavori di Gianni Pettena. Realizzato per la prima volta a Salt Lake City nel 1972, gli otto metri di Tumbleweeds Catcher vengono ora ripensati in una declinazione che tiene conto del patrimonio naturale italiano, collimando quindi in una versione inedita di questa imponente installazione mai costruita in Europa.

Ma è anche il caso di Una domenica a Rivara (1992), il lenzuolo con cui un allora giovane Maurizio Cattelan si faceva conoscere al pubblico, rivelando la sua nota distopica e ribelle verso il sistema dell’arte. Dal 12 ottobre il lenzuolo di Cattelan penderà dal cortile dell’Ex Dogana di terra.

Tale scelta, oltre a testimoniare l’intento di ripensare l’opera storica nel contesto attuale, è parallela all’intento di esporre lavori di giovani artisti accanto ad autori storicizzati. Tra i nati negli anni ’80 e ’90: Danilo Correale, Lisa Dalfino e Sacha Kanah, Claire Fontaine, Thomas Kuijpers, Davide Mancini Zanchi, Elena Mazzi, Caterina Erica Shanta, Stefano Serretta e Kyle Thompson.

Afferma Gabriele Tosi: Penso che uno dei tratti più importanti della giovane arte italiana sia quello di non accontentarsi della storia che è stata raccontata. Alla base dei lavori c’è quasi sempre un’indagine, estremamente razionale per alcuni e marginalmente relazionale in altri. Questo fatto potrebbe denunciare un passo in avanti rispetto al rapporto con il passato insegnato dal postmodernismo proiettandoci, invece, in un’era di revisionismo e di recupero del reale. Il dialogo instaurato in mostra tra alcune opere è, in questo senso, non l’annullamento della profondità temporale, piuttosto la sua esaltazione nella costruzione di un ipotetico immaginario del bagaglio culturale di domani.

Alla mostra si accompagna un catalogo pubblicato da Manfredi Editore che raccoglie, oltre alle schede e alle immagini dedicate a ciascuna delle opere in mostra, un saggio di Adriana Polveroni e due interviste a cura di Gabriele Tosi. Con Santiago Zabala, professore in filosofia alla Pompeu Fabra University di Barcellona, si indaga la capacità dell’arte di muovere l’attenzione sulle emergenze che spesso conviene dimenticare. Mentre con Daniele Balicco, professore in letteratura e filosofia all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, si affronta il tema dell’eredità surrealista nella costruzione di un immaginario che oggi appare bloccato e slegato dal reale.

 

LINK  https://www.artverona.it/chi-utopia-mangia-le-mele/